Per chi non la conoscesse, Greta Thunberg ha iniziato a interessarsi al cambiamento climatico all’età di 8 anni, e a 11 è caduta in depressione a causa della percezione che non se ne parlasse abbastanza, che non si facesse nulla al riguardo. Poi, lo scorso agosto, ha iniziato il suo “Climate Strike”, uno sciopero dalla scuola per andare a protestare di fronte al Parlamento svedese per le politiche energetiche e ambientali.
Greta Thunberg è oggi d’ispirazione per migliaia di ragazzi in tutta Europa, che seguendo il suo esempio organizzano decine di manifestazioni per sensibilizzare governi, stampa ed opinione pubblica sui rischi del cambiamento climatico, e per invitare all’azione coloro che detengono le sorti del pianeta fra le loro mani viscide e grassocce.
Il suo messaggio è rivolto ai “potenti”, ma coinvolge tutti, perché è destinato a tutti. Si sa, le lettere che riportano un indirizzo sbagliato tornano indietro; le parole di Greta invece viaggiano con l’indirizzo esatto: il Pianeta Terra. E perciò arrivano a tutti.
Non è più la speranza che ci occorre, ma l’azione, dice. Avviata l’azione, la speranza arriverà da sola, dice. C’è una forza nel suo tono, che appare timido e dimesso, una potenza nel suo linguaggio che travalica ogni concetto di “rivoluzione” scolpito fino ad oggi. Greta è il rovesciamento dei canoni, la sovversione degli stereotipi, l’abbandono definitivo di un modello consacrato sull’altare della storia.
Ci sono gli uomini forti, gli eroi che da soli s’innalzano, statuari, a fronteggiare il male; e poi c’è questa ragazzina svedese di nemmeno sedici anni, al secolo Greta Thunberg, affetta dalla sindrome di Asperger, che prende parola alla Cop24 sul clima e proferisce: “Se le soluzioni all’interno del sistema sono impossibili da trovare, forse dobbiamo cambiare il sistema stesso”.
Un semplice punto non basta ad arginare la dirompenza di questa affermazione. Non so se ce ne rendiamo conto. Greta Thunberg afferma, con la sua semplicità disarmante, che bisogna mettere in discussione l’intero sistema, ovvero quel capitalismo pregno di avidità e miopia che ci ha condotti sull’orlo del baratro. E di colpo il nuovo Vangelo si manifesta al nostro orecchio, mostrando anche in questo caso la sua totale, definitiva discontinuità. Per raccontare la Verità non occorrono cravatte di seta e orologi d’oro, né cellulari di ultima generazione: bastano due trecce, un camicione a quadri e una Verità da raccontare.
Greta Thunberg è questo, il Messia che ritorna per avvertirci di lasciar perdere pandori e panettoni, di scappare dalle lusinghe dell’agio e del benessere, per contribuire alla salvezza dell’unico valore in nostro possesso: la speranza nel futuro. Un tempo futuro che i governanti ci stanno sottraendo con le loro vane promesse e farneticazioni. E che sia una giovanissima studentessa a farcelo comprendere, anziché uno dei tanti pseudomartiri della rivoluzione con migliaia di voti, il megafono davanti alla bocca e il blocco alle maiuscole sul cellulare, è così disgustosamente poetico da non poter essere che la cosa giusta.
Viviamo nel peggiore dei momenti possibili, mentre la sabbia che fluisce verso il basso nella clessidra, si avvicina inesorabilmente a terminare, e nel pianeta avanzano gli egoismi, le paure e la violenza: uno scenario tipico della fine del mondo. Così si spiegano i Trump che negano il cambiamento climatico, i Bolsonaro che mettono l’Amazzonia all’asta e i tanti lacché del sistema più ottuso e sfacciato, che strizzano loro l’occhio annebbiato dalla stupidità e dall’arroganza.
La storia li ricorderà per quello che sono: un ammasso di lerciume che avremmo fatto meglio a gettare nella spazzatura senza possibilità di riciclarli … loro no, in nessun modo. Sono invece felice di aver potuto raccontare un’altra storia, quella di Greta Thunberg e del suo salvifico messaggio dalla fine del mondo. Ascoltiamola, non lasciamo che anche lei finisca sulla croce, sulla nostra croce.
Articolo di Emanuele Tanzilli
Rivisto da Conoscenzealconfine.it
Fonte: https://www.liberopensiero.eu/23/12/2018/editoriali/greta-thunberg-e-la-fine-del-mondo