Di Christian Giuman
Gira un video su vari siti di un tizio musulmano a Napoli che trasporta su di un passeggino un “capretto” destinato a essere sacrificato per la ricorrenza di Eid Al-Ahda (https://en.wikipedia.org/wiki/Eid_al-Adha), lo scorso 22 Agosto. Quello che gli fa il video lo segue lungo un vicolo e gli dice che sta commettendo un reato, che in Italia non si torturano gli animali. Con ogni probabilità l’uomo che sta girando quel video non sa che in Italia invece gli animali si torturano eccome, di sicuro non si utilizzano i metodi della legge islamica sulla macellazione, ma sì, anche in Italia si torturano.
Poco dopo il post di quel video, Salvini ministro degli interni twitta che in tutta Italia i fedeli musulmani stavano festeggiando “il sacrificio” e che all’ultimo a Napoli è stato salvato un capretto dalla truculenta morte che gli stava per accadere, grazie all’iniziativa di quell’improvvisato reporter di strada, o qualcosa di simile.
Partiamo dal presupposto che questa terra dove viviamo è quanto nostra – della specie umana – che di tutte le altre specie che la abitano, quindi senza far tanti proseliti, l’allevamento intensivo di animali per la macellazione industriale è segregazione e tortura. Anzi è qualcosa che va al di là della tortura, non sono un esperto di bioetica, ma credo che per questo comportamento non vi sia un nome che dia il giusto peso al comportamento generalizzato degli umani a riguardo.
Conosco un ragazzo, Nicolò P, che per un certo periodo della sua vita ha lavorato in montagna presso una azienda casearia: teneva le pecore, le pascolava, puliva la stalla e poi le mungeva, ci facevano i formaggi con il latte. E’ successo che ne abbia anche ammazzate di pecore e agnelli, per mangiarli o per fare delle specie di polpette, prodotti tipici del luogo dove lavorava. Una volta ha anche ammazzato un maiale per fare insaccati, con una squadra di allevatori. Anche una gallina, da giovanissimo, sempre per mangiarla. Nicolò mi ha spiegato che i metodi di uccisione sono quelli della tradizione “italiana”: per le pecore e il maiale, li si allontana dal gruppo già dal giorno prima, li si tiene a digiuno, così si evita di trovare cibo nell’intestino quando li si sventra, poi bisogna bloccare loro le terminazioni nervose con lo storditore e infine si procede con la macellazione. Per le galline vale la stessa cosa, le si isola, poi per “tirar loro il collo” basta una scopa sotto i piedi, si infila il collo della gallina sotto il manico, la si prende per le zampe, si tirano le stesse verso di sé e STOC. Ho chiesto a Nicolò P come ci si sente dopo aver ammazzato un animale e lui mi ha risposto che non è una bella sensazione, anzi che il giorno nel quale si ammazza il maiale, in realtà tutti quelli coinvolti nel processo sono molto tesi e che non è proprio una giornata di festa. Nicolò mi ha anche detto – e questa è la chiave di volta del discorso sull’ammazzare e macellare le bestie – che in quel periodo della sua vita si sentiva meglio nel mangiare la carne, poiché era direttamente coinvolto nella “filiera”. Ora ne mangia ancora, ma si fa più domande sulla sua provenienza di quante se ne fanno in genere le persone.
Alla luce di tutto ciò quindi, il twit di Salvini del 22 Agosto deve per forza essere interpretato come una strumentalizzazione della ricorrenza di Eid Al-Ahda, e va da sé il sacrificio dei capretti, per dare un ulteriore scossone alla già delicata questione degli stranieri in questo paese e far bassa politica a gente senza strumenti per identificarla – ovvero la massa in Italia. A meno che Salvini non sia un militante vegano o animalista, cosa che non mi risulta, lo stesso ministro e tutti i suoi seguaci devono stare zitti sulla questione della sofferenza degli animali, poiché mangiare bestie che si comprano dal macellaio o al supermercato, o “sacrificarle” per questioni religiose, fa parte dello stesso campionato.