« A Bomarzo la finzione scenica è travolgente; l’osservatore non può contemplare perché vi è immerso, in un ingranaggio di sensazioni (…), capace di confondere le idee, di sopraffare emotivamente, di coinvolgere in un mondo onirico, assurdo, ludico ed edonistico (…) » |
(Bruno Zevi, Barocco Illuminismo, Roma, 1995) |
Entrate in un mondo fatto di creature arcane e spaventose. Il Sacro Bosco di Bomarzo, in provincia di Viterbo, è un luogo assurdo e affascinante nella sua bizzarria. Elefanti guerrieri, draghi cinesi, case sbilenche, divinità… Un parco di sculture disseminate in un labirinto magico e impossibile. Questa aggregazione di mostruosità risale al XVI secolo quando Pier Francesco Orsini, principe di Bomarzo, commissiona all’architetto Pirro Ligorio la costruzione di un posto meraviglioso. Anche se all’inizio l’intento era più quello di spaventare che di stupire. Ma i suoi creatori erano ben consapevoli dell’effetto che avrebbe potuto avere sui contemporanei: “Voi che pel mondo gite errando vaghi di veder meraviglie alte et stupende venite qua, dove son facce horrende, elefanti, leoni, orchi et draghi”. Questa è solo una delle tante iscrizioni che si possono ritrovare sulle sculture. Ombre di manierismo e grotesque con echi di letteratura medievale e rinascimentale imperversano per tutto il bosco, che ben si è prestato all’opera d’arte grazie alla sua forma di anfiteatro naturale. E che a distanza di secoli non smette di incantare e di meravigliare.
Scienziati storici e filologi hanno fatto parecchi tentativi di spiegare il labirinto di simboli, e hanno trovato temi antichi e motivi della letteratura rinascimentale, per esempio del Canzoniere di Francesco Petrarca, dell’Orlando furioso di Ludovico Ariosto e dei poemi Amadigi e Floridante di Bernardo Tasso (in quest’ultimo compare ad esempio un dragone d’acciaio con una stanza all’interno, e dalla cui bocca uscivano amazzoni a cavallo). Sono rimasti, però, talmente tanti misteri che uno schema interpretativo universale, alla fine, forse non potrebbe essere trovato; su un pilastro, però, compare la possibile iscrizione-chiave “Sol per sfogare il core“. John Shearman, che cita più volte il parco nel suo Mannerism, parla di “incredibili, piacevoli e soprattutto manifeste finzioni – prodotti d’evasione artistica e letteraria“.[4] Nel 1585, dopo la morte dell’ultimo principe Orsini, il parco fu abbandonato e nella seconda metà del Novecento fu restaurato dalla coppia Giancarlo e Tina Severi Bettini, i quali sono sepolti nel tempietto interno al parco, che forse è anche il sepolcro di Giulia Farnese.
Ma nell’affascinante parco esiste anche un storia misteriosa… Infatti Leggenda vuole che il parco fosse dedicato ad un grande amore, ovvero Tina Severi Bettini, moglie del Principe Orsini, a cui è anche dedicato il Tempio collocato su una collinetta. Dopo la morte del Principe, il parco venne abbandonato per circa 400 anni, finché poi la famiglia Bettini decise di restaurarlo e di riportarlo in vita.
Nel corso di questi 400 anni di oblio, il parco crebbe a fama di bosco sacro o bosco iniziatico, cantato da scrittori e poeti come un luogo di mistero e percorso di cammino e crescita interiore. Il Principe Orsini, infatti, popolandolo di mostri di pietra, animali fantastici ed eroi, aveva voluto rappresentare il proprio mondo interiore, un percorso dentro se stesso dedicato solo a coloro che potessero capire.
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