Quella che vi raccontiamo oggi sulle pagine di LaTelaNera.com ce la narra Leonardo Boselli: si tratta della leggenda metropolitana (piuttosto recente) nata attorno a Polybius, un videogioco dagli effetti nefasti.
Un videogioco che è tutto un mistero: lo si è visto (e giocato) esclusivamente per un periodo limitato di tempo, in poche sale giochi di un’area circoscritta degli USA agli inizi degli anni ’80: la sua storia si tramanda “da nerd a nerd” da allora, diffondendosi come un virus su centinaia di pagine web.
Questa leggenda urbana tutta bit e smanettamento ha così colpito Leonardo Boselli che l’autore ha anche scritto un racconto ispirato a queste vicende (che puoi leggere più avanti).
Tenetevi strette le vostre console casalinghe e siate pronti a “inserire un coin” per comperarvi una nuova vita perché dalle schermate maligne di Polybius non c’è ritorno…
Polybius: il videogioco nocivo che creava dipendenza e assuefazione
Hai mai giocato a Polybius? Se ti sembra di aver già sentito parlare di questo videogioco e quindi di esserti cimentato con lui tanti anni fa riuscendo a registrare un “high score” con le tre lettere del tuo nick, molto probabilmente ti sbagli, a meno che non ti sia trovato nei sobborghi di Portland nel maggio del 1981.
Infatti, questo misterioso gioco a base messaggi subliminali e di algoritmi psicoattivi ebbe, secondo le voci che circolano su di esso, una vita molto breve e una diffusione davvero limitata, ma è diventato famoso per i gravi effetti collaterali che provocava nei giocatori che all’epoca ne furono soggiogati.
Ma andiamo con ordine.
In quale contesto è comparso questo fantomatico Polybius?
Nel lontano 1981 i primi microcomputer cominciavano a uscire dai laboratori per entrare nelle case di molte famiglie. Gli ormai mitici ZX Spectrum e Commodore 64, versioni avanzate dei più limitati ZX81 e VIC20, sono nei ricordi di molti adolescenti degli anni ’80 e la stragrande maggioranza dei programmi sviluppati per quelle piattaforme erano costituiti da videogiochi che invadevano un mercato ancora vergine, ora occupato delle moderne console.
In quel periodo imperversavano anche le sale giochi: proponevano in voluminosi cabinati quegli stessi microprocessori che di lì a poco molti avrebbero potuto ospitare, in versione meno appariscente, sulla propria scrivania.
L’interfaccia utente di quelle macchine da gioco era costituita da uno schermo in bassa risoluzione e un numero limitato di colori, da una leva e un paio di pulsanti, oltre ai classici tasti per la selezione di una partita per uno o due giocatori. Inoltre, in bella vista, compariva la fessura per inserire i gettoni.
I videogiochi erano considerati con sospetto dai benpensanti. Erano accusati di provocare danni alla salute, attacchi di epilessia, dipendenza psicologica, alienazione dal mondo reale.
Questo avviene tuttora, oltre trent’anni dopo (2014), anche se oculate campagne di marketing dei produttori di console tendono a presentare il videogioco come un prodotto per tutti, capace anche di unire le famiglie, oltre ad avere effetti benefici per la salute e la forma fisica.
Inoltre, se si considera che l’ambiente delle sale giochi, frequentate da un gran numero di ragazzi, poteva attirare anche generi di persone poco raccomandabili, è chiaro che la diffidenza attorno a questi locali e ai videogiochi con i loro cabinati non poteva che aumentare.
In questa cornice si colloca una delle leggende urbane più oscure che abbiano interessato il mondo dei giochi elettronici: Polybius, appunto, il misterioso gioco psichedelico.
Per quanto riguarda il nome, lo storico greco del secondo secolo avanti Cristo, Polibio, sembra che non c’entri nulla. La vera ispirazione potrebbe provenire da “Poly-bios”, una combinazione di parole che significherebbe “multi-vita” secondo una traduzione letterale.
Si racconta che questo cabinato comparve nel 1981 in un sobborgo di Portland, la città più importante dell’Oregon. La tiratura fu davvero limitata: si ha notizia soltanto di un esemplare, forse due.
Si dice che, appena fu installato, cominciò ad attirare lunghe file di giocatori, alcuni dei quali divennero davvero incalliti, catturati in modo irresistibile dalle caratteristiche ipnotiche del gioco.
Purtroppo i giovani che si cimentavano in Polybius sperimentavano successivamente fenomeni di amnesia, dimenticando il loro nome e dove abitavano, e soffrivano di inquietanti incubi notturni. Si narra di alcuni soggetti che, a causa di quegli orribili sogni, si svegliavano in piena notte urlando.
Si ritenne plausibile che il gioco fosse stato sviluppato da qualche fantomatico gruppo di ricerca governativo, naturalmente segreto, che aveva utilizzato particolari tecniche per analizzare e modificare il comportamento umano.
Queste voci vennero alimentate da un presunto gestore di una sala giochi in cui era stata ospitata una delle due macchine su cui era eseguito Polybius. Il gestore testimoniò di aver visto misteriosi uomini vestiti in nero (sullo stile dei “men in black”, appunto) recuperare non ben precisate registrazioni dalle macchine.
Si trattava forse di dati su come i giocatori interagivano con il programma?
Secondo le descrizioni, il gioco era decisamente insolito: uno sparatutto statico in grafica vettoriale, ma dai contenuti astratti e con alcuni enigmi da risolvere. Poiché lo stile grafico ricordava i classici Tempest e Battlezone, c’è chi ha ventilato la possibilità che l’autore fosse lo stesso Ed Rotberg, che aveva realizzato quei due grandi successi dell’epoca.
Il gioco utilizzava stimoli luminosi intermittenti, effetti psichedelici e messaggi subliminali visivi e sonori non percepiti in modo conscio dai giocatori. I messaggi trasmessi erano piuttosto inquietanti: per esempio, uno di essi ripeteva “Suicide Yourself”, ovvero “Suicidati”.
Si dice che uno dei giocatori più incalliti, all’epoca un ragazzo, sia diventato uno dei più feroci oppositori all’uso dei videogiochi. Dalla sua testimonianza sappiamo che i due cabinati di Polybius sono scomparsi dopo poco più di un mese dalla loro prima apparizione e nessuno ne ha più sentito parlare.
Vista la limitata diffusione, non sorprende che non siano mai state trovate le sue ROM o i sorgenti del programma. L’unica documentazione rimasta riguarda uno screenshot della schermata iniziale e una foto in bianco e nero del cabinato, entrambe di dubbia autenticità.
Dallo screenshot si deduce che lo sviluppatore del gioco fu una fantomatica società “Sinneslöschen” che secondo traduzioni non propriamente letterali dal tedesco suona come “cancellazione dei sensi” o “privazione sensoriale”.
Tutte queste notizie, come in ogni leggenda metropolitana che si rispetti, non hanno riferimenti precisi alle loro fonti.
Ogni fatto presentato si è diffuso come un’eco che, amplificata e trasformata da nuovi racconti, ha acquisito una forma quasi definitiva che comunque si accresce sempre di altri contributi. Perciò non è facile capire quale sia l’origine della leggenda e quanto ci sia di vero, anche se si intuisce che il fondo di verità sia minimo o addirittura nullo.
Naturalmente nuove prove, suffragate da testimonianze e immagini, sono comparse anche in tempi molto recenti.
Per esempio, nel 2006 un tale che si presentò col nome di Steven Roach inviò un messaggio su “coinop.org” (uno dei siti che raccolgono la storia dei videogiochi da sala, con una voce anche su Polybius) e raccontò del suo coinvolgimento nello sviluppo del gioco. Affermò di aver voluto tentare nuovi effetti grafici, ma che questi avrebbero causato crisi epilettiche in persone sensibili agli effetti luminosi intermittenti. Di conseguenza il gioco venne ritirato, la casa produttrice fallì e il programma venne perduto.
Per quanto questa testimonianza non sia sostenuta da prove convincenti e possa essere la solita bufala costruita ad arte, ci permette comunque di ipotizzare quale sia stato il punto d’origine della leggenda, cioè l’opinione che la grafica dei videogiochi potesse causare malori in persone particolarmente sensibili (lo stesso Tempest si diceva potesse indurre attacchi epilettici da sensibilità agli stimoli luminosi).
Da qui a pensare che tali effetti potessero essere utilizzati volontariamente per scopi più o meno leciti il passo è breve e le voci incontrollate che si propagano a grande velocità su internet hanno fatto il resto.
Così ora abbiamo numerose informazioni e possiamo discutere con dovizia di particolari su un sorprendente videogioco, documentato su riviste e siti dedicati, che quasi certamente non è mai esistito.