ESCLUSIVO. Quello che si sta delineando in Siria nelle ultime settimane è più che un semplice polverone. E’ in gioco la stabilità geopolitica e l’alleanza strategica tra la Turchia e gli USA che sancisce di fatto la rottura completa con la Turchia pronta ad attaccare le truppe USA in Siria.
Avete letto bene, quello che i media italiani non dicono (alle prese con una campagna elettorale a dir poco stupida e banale) noi di straniluoghi.com come sempre sotto una attenta ricerca attraverso testate giornalistiche internazionali e con l’occhio sull’evolversi della situazione in Siria vogliamo dare in esclusiva ai nostri lettori. Come sempre l’obiettivo è quello di dare al lettore un punto di vista diverso da quello che ci raccontano.
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Nell’ultima settimana è iniziato l’attacco da parte della Turchia per scacciare i curdi dalla Siria. La Turchia li chiama terroristi che di fatto occulta quella che ha l’aria di essere la pulizia etnica di Erdogan.
La conquista del monte Bursayah e del vicino villaggio di Qastal, nella parte orientale di Afrin, vicino al villaggio di Azaz, rappresenta il primo successo strategico dell’avanzata turca nel cantone curdo di Afrin, a più di una settimana dall’inizio dell’attacco. Piccoli avanzamenti anche nella parte occidentale, con la cattura del villaggio di Ushagi, mentre il resto dell’area è difeso strenuamente dalle Sdf.
Il numero dei caduti è oggetto di una feroce lotta mediatica: fonti militari turche sostengono di aver eliminato oltre 600 militanti nelle fila di Ypg e Sdf, mentre le milizie curde sostengono di aver causato perdite di 350 elementi alla coalizione tra esercito turco e gruppi ribelli riuniti sotto la guida di Ankara con il nome di Esercito libero siriano (T-fsa).
L’Osservatorio siriano per i diritti umani ha invece stimato in circa 60 i decessi per ciascuna parte. Secondo le stime dell’organizzazione Airwars, che ha operato una minuziosa raccolta degli eventi, sono circa 55-60 i decessi tra i civili dall’inizio dei combattimento.
Ma l’esercito di Ankara non si fermerà ad Afrin, continuerà la sua avanzata nei territori controllati dai curdi.
“È necessario che gli Usa si ritirino immediatamente da Manbij. Devono tagliare ogni tipo di legame con i gruppi terroristici” a parlare non è una persona qualunque, ma bensì l ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu che, nemmeno troppo velatamente, minaccia gli Stati Uniti e svela ciò che era chiaro a tutti.
Mentre a Sochi comincia il dialogo sponsorizzato dalla Russia per trovare una soluzione al conflitto, possibilmente favorevole al governo centrale di Damasco, Ankara deve invece incassare il rifiuto americano di abbandonare Manbij, invocato a gran voce nei giorni scorsi dal governo turco per bocca dei suoi più alti esponenti. Il comandante Joseph Votel, della struttura Centcom americana dislocata nella regione, ha dichiarato alla Cnn che non è previsto alcun piano di ritiro.
Se il presidente turco Erdogan vorrà dare concretezza alle minacce, paventate anche nei giorni scorsi, di invadere anche la zona di Manbij, dovrà trovare il modo di scacciare dalla regione la presenza americana, con il rischio di uno scontro militare tra due dei più importanti membri Nato.
A Manbij i combattenti appoggiati da Washington, come riporta Reuters, si stanno già preparando per fronteggiare i turchi.
I combattenti siriani supportati dagli Stati Uniti nell’area di Manbij nel nord della Siria si sono schierati in prima linea per fronteggiare un assalto turco e sono in contatto con la coalizione guidata dagli Stati Uniti per proteggere la città.
“Naturalmente noi del Consiglio militare di Manbij abbiamo preso le misure necessarie e abbiamo schierato le nostre forze in prima linea”, ha detto Sharfan Darwish del Consiglio militare di Manbij. – Fonte Aljazeera
La Turchia ha lanciato un’operazione aerea e terrestre ad Afrin, nel nord-ovest della Siria, contro la milizia curda YPG sostenuta dagli Stati Uniti – vista da Ankara come una minaccia alla sua sicurezza – e ha minacciato di estendere la sua operazione a 100 km (60 miglia) verso est verso Manbij.
Diversamente da Afrin, Manbij è un’area in cui gli Stati Uniti hanno personale militare di stanza, aumentando il rischio di un possibile confronto tra gli alleati della NATO, la furia turca e il sostegno degli Stati Uniti alla milizia YPG.

Gli Usa invece non sanno ancora che fare perché ogni mossa comporta un rischio. Se abbandonano i curdi al loro destino, perdono la faccia; se fronteggiano Erdogan, non solo perdono un alleato ma, di fatto, rischiano di esser cacciati dalla Siria dopo sette anni di guerra per procura. Inoltre, nel caso in cui Washington andasse a muso duro contro Ankara si potrebbe scatenare un conflitto all’interno della Nato. Lo scenario è dunque quello della débâcle. Anche perché al fianco di Erdogan ci sono gli uomini dell’Esercito siriano libero, a lungo foraggiati dall’Occidente, che ora hanno chiarito da che parte stanno: quella della Turchia.
I curdi di Afrin hanno chiesto aiuto a Bashar al Assad: difendici dai turchi e, in cambio, avrai indietro i tuoi territori (questo è il succo del discorso). Damasco – nonostante le parole di condanna – per ora sta a guardare. Certo è che i curdi hanno ragione quando dicono che l’operazione “Ramoscello d’olivo” “minaccia l’integrità territoriale della Siria” e che quindi, prima o poi, Assad dovrà intervenire.

L’intensificarsi della situazione nel nord della Siria ha portato a una telefonata mercoledì 24 Gennaio tra Erdogan e il presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Trump ha espresso preoccupazione per la “retorica falsa e distruttiva” della Turchia sulla situazione e ha sollecitato la prudenza affinché le truppe statunitensi e turche non si impegnino in battaglia.
La Casa Bianca ha dichiarato:
“Esortiamo la Turchia a ridimensionarsi, limitare le sue azioni militari ed evitare vittime civili con conseguente aumento di sfollati e rifugiati”
“Esortiamo la Turchia ad evitare azioni che potrebbero rischiare il conflitto tra le forze turche e americane”. – Fonte Reuters
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Roberto.